Intervista a Giovanni Pinosio

Primo protagonista del progetto d’arte itinerante "Artista a Bordo"

Primo protagonista del progetto d’arte itinerante "Artista a Bordo"

Riccardo Benedini Marzo 2023
Marzo 2023

Lo scultore veneziano si racconta a bordo del caicco Lycian Princess dove, in occasione di Biennale Arte 2022, ha allestito la sua mostra itinerante “Allegoria del Mare”.

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L’INTERVISTA 

 

Buongiorno a tutti e benvenuti sulla Lycian Princess. Mi chiamo Riccardo Benedini e offro l’opportunità ad artisti, designer e creativi di raccontarsi attraverso brevi interviste in mare, ormeggiati in marina a Sant’Elena, esattamente alle spalle dei giardini della Biennale di Venezia. Questo caicco turco di 30 metri ospita oggi Giovanni Pinosio, scultore veneziano che il 20 aprile scorso ha inaugurato la sua installazione itinerante “Allegoria del mare” navigando in bacino San Marco con più di 30 ospiti.

 

Ciao Giovanni e benvenuto.

 

Ciao Riccardo, grazie.

 

Sei il primo artista a bordo e noi ti conosciamo tutti come “Arredatore dell’Immaginario”. Ma da dove deriva questo appellativo?

 

Allora “Arredatore dell’Immaginario” è un in realtà un appellativo datomi poco tempo fa, ma credo descriva in maniera efficace quella che è la mia poetica, il mio modo di fare scultura. Infatti gran parte delle sculture che creo partono dalla visualizzazione di uno spazio reale, fisico ma anche immaginario, che mi suggerisce il soggetto che vado a rappresentare e che appunto abiterà quello spazio. Mi piace l’idea di arredare lo spazio e di coinvolgere quindi lo spettatore con la mia visione.

 

Sei uscito dall’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Raccontaci un po’ qual è stato il tuo percorso, che cosa ti ha avvicinato poi alla scultura in filo di ferro.

 

Sì, mi sono laureato all’Accademia in indirizzo scultura nel 2017. Durante gli anni di frequentazione mi sono rifugiato in particolar modo nell’atelier di scultura e nel laboratorio di anatomia artistica e dallo studio di queste due discipline, dalla loro fusione è nato il mio linguaggio artistico, la scultura in filo di ferro. Perché ho cominciato a tradurre in tridimensione i disegni che facevo nel laboratorio di anatomia. Quindi il segno di graffite è diventato filo di metallo che mi ha permesso di disegnare nello spazio e quindi successivamente di abbandonare il foglio bidimensionale.

“Lavorare col filo di ferro mi affascina per ciò che suscita in me: la riflessione, l’attesa, il silenzio, la relazione, l’intreccio ma soprattutto la musicalità di una linea che viene lavorata in modo armonico e continuo”. Giovanni Pinosio

 

“Allegoria del mare” è il nome che hai scelto per questo gruppo di sculture con cui sei salpato il 20 aprile. Ma raccontaci che cosa rappresentano.

 

Allegoria del Mare è una trilogia di opere che ho realizzato tra il 2014 e il 2015 e che poi sono rimaste in laboratorio. Ti dico la verità, le avevo dimenticate. Il mare è come se me le avesse restituito indietro e ho dovuto rimetterci le mani ovviamente e portarle a nuova vita per questa occasione. Rappresentano degli amanti, dei contemplativi colti nelle loro espressioni emotive che cambiano di giorno in giorno. Perché la cosa bella di questa installazione, che non è mai la stessa. L’installazione e le figure umane possono essere spostate e vivere spazi differenti all’interno della barca, un po’ appunto come le emozioni e come il mare.

 

In passato ti sei definito “responsabile della felicità dello spazio che arredi”. Che cosa intendevi dire?

 

Intendevo dire che prendo molto a cuore e tengo molto all’equilibrio che si crea tra lo spazio e la scultura. Per me la felicità dello spazio consiste nel non coprirlo ma nel rispettarlo. Il filo di metallo mi permette proprio questo:di creare una scultura leggera e vuota al suo interno e al suo interno, far vivere lo spazio in cui è collocata. Non è una scultura che quindi si pone in maniera prepotente, coprendolo, ma lo spazio e la scultura diventano compresenti.

 

Come ti sei sentito a navigare con le tue opere in bacino San Marco?

 

Per me è stata un’emozione, è stato veramente emozionante. Inoltre credo che sia un’occasione unica in un contesto suggestivo, insolito. Credo che le mie sculture siano riuscite a dialogare con lo sfondo del bacino San Marco, perché questo rifletteva i principi della mia ricerca artistica. Un momento molto bello ed emozionante per me è stato vedere tra i fili della scultura, quindi nel suo vuoto, l’Accademia di Belle Arti, che è appunto il luogo in cui è nato questo linguaggio.

 

Grazie a questa installazione abbiamo conosciuto le due sculture corporee, però singolare anche la tua interpretazione degli oggetti del nostro quotidiano. Parlo di una macchina da scrivere, di un orologio a pendolo, di una sedia che si ribellano alla propria funzionalità e diventano opere d’arte. Raccontaci un po’ da dove è nata questa idea.

 

Sì, parallelamente alla realizzazione dei corpi, da diverso tempo ho realizzato una collezione di oggetti. Sono oggetti quotidiani che mi affascinano per le loro linee, per la loro storia, perché ogni oggetto racconta una sua storia e sono oggetti che io definisco “atemporali”, nel senso che utilizzandoli ci portano in un’altra dimensione e ci portano a riflettere su noi stessi e a perderci. L’idea mi è venuta dalla visualizzazione di una stanza vuota, di una stanza bianca che mi chiedeva di essere arredata con questo filo.

 

Al di là di questo percorso come scultore, so che da tanti anni coltivi la passione per il canto e possiamo dire che accarezzi la realtà con due linguaggi e due approcci molto differenti, quindi il tatto e la voce. Esiste un confine tra questi due approcci e tra questi due mondi?

 

Allora sì, il canto e la voce è una passione che seguo da diverso tempo ed è stata proprio la voce a portarmi verso la scultura in filo di ferro. Perché la mia ricerca artistica è iniziata indagando sul concetto di leggerezza che era una parola che sentivo spesso durante le mie lezioni di canto. “Giovanni no, alleggerisci il suono”, mi dicevano i miei insegnanti ed io ho voluto sviscerare questo concetto anche in scultura, andando a togliere tutti quei materiali che per me erano pesanti. La creta, il gesso, la resina. E mi sono accorto che togliendo questo materiale rimaneva l’anima che sorreggeva appunto la creta, l’anima in ferro e in filo di ferro quindi ho cominciato a disegnare con quel materiale. La voce inoltre si pone in un certo confine tra materiale e immateriale. Nasce da un corpo che è materia, ma diventa subito inafferrabile, impalpabile. Come voglio che sia la mia scultura.

 

A fine mese concluderai questa esperienza in mare. So che sei impegnato nella ambientare le tue opere, i tuoi oggetti in paesaggi e spazi sempre diversi del panorama italiano, dando vita a dei cortometraggi. Raccontaci dove ti troveremo.

 

Sì, adesso sto finendo la mia produzione di oggetti per poi ritornare a lavorare sui corpi. Ma ogni oggetto e anche ogni figura umana che realizzerò sarà raccontata tramite un breve cortometraggio, un breve video, una breve storia per dare anche uno stimolo in più allo spettatore. Sicuramente mi vedrete con un oggetto che prenderà vita all’interno di una villa veneta, poi ritornerò a Venezia con un’altra installazione. Non vi dico nulla. Seguitemi!

 

Speriamo di averti per la Mostra del Cinema qui a bordo. Intanto grazie per il tuo tempo e per l’emozione che ci hai regalato con la tua istallazione.

 

Grazie!

 

 

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